Santa Maria,

Santa Maria,
...donna del primo sguardo, donaci la grazia dello stupore.

venerdì 16 marzo 2018

Vangelo della V^ Domenica di Quaresima

In quel tempo, tra quelli che erano saliti per il culto durante la festa c’erano anche alcuni Greci. Questi si avvicinarono a Filippo, che era di Betsàida di Galilea, e gli domandarono: «Signore, vogliamo vedere Gesù». Filippo andò a dirlo ad Andrea, e poi Andrea e Filippo andarono a dirlo a Gesù. Gesù rispose loro: «È venuta l’ora che il Figlio dell’uomo sia glorificato. In verità, in verità io vi dico: se il chicco di grano, caduto in terra, non muore, rimane solo; se invece muore, produce molto frutto. Chi ama la propria vita, la perde e chi odia la propria vita in questo mondo, la conserverà per la vita eterna. Se uno mi vuole servire, mi segua, e dove sono io, là sarà anche il mio servitore. Se uno serve me, il Padre lo onorerà. Adesso l’anima mia è turbata; che cosa dirò? Padre, salvami da quest’ora? Ma proprio per questo sono giunto a quest’ora! Padre, glorifica il tuo nome». Venne allora una voce dal cielo: «L’ho glorificato e lo glorificherò ancora!».La folla, che era presente e aveva udito, diceva che era stato un tuono. Altri dicevano: «Un angelo gli ha parlato». Disse Gesù: «Questa voce non è venuta per me, ma per voi. Ora è il giudizio di questo mondo; ora il principe di questo mondo sarà gettato fuori. E io, quando sarò innalzato da terra, attirerò tutti a me». Diceva questo per indicare di quale morte doveva morire.

LA PAROLA. Commento al vangelo di domenica 18 marzo 2018

Commento a cura di don Manuel Loreni, vicario parrocchiale Unità pastorale Santa Croce, SS. Trinità, Piane di Schio Est.

Registrato nel battistero della chiesa parrocchiale di Santa Croce di Schio.







SEGUIRE CRISTO VERSO LA SALVEZZA
In verità, in verità io vi dico: se il chicco di grano, caduto in terra, non muore, rimane solo; se invece muore, produce molto rutto. Chi ama la propria vita, la perde e chi odia la propria vita in questo mondo, la conserverà per la vita eterna.
 Giovanni 12,20-33
  
Il capitolo 12 conclude la prima parte del Vangelo di Giovanni; il capitolo successivo narra l’ ultima cena, cui seguirà la passione. In questo testo vediamo l’ apice del successo del ministero pubblico di Gesù, quando Andrea Filippo debbono informare il Signore che ci sono addirittura dei Greci che chiedono di lui. Vogliono vedere Gesù, incontrarlo, conoscerlo. Cosa cercano? Un famoso personaggio, un operatore di prodigi, forse il messia, comunque qualcuno di importante, glorioso, trionfante.
Non troveranno niente di tutto questo, anche se Lui annunzia che è proprio questo il momento della sua glorifi cazione.
La parola “gloria”, in ebraico, indica la sostanza di una cosa, il suo peso specifico, il suo autentico valore più che la manifestazione di un suo qualsiasi splendore. Conoscere la gloria di Dio non vuol dire vedere uno spettacolo ma aver conosciuto la sua potenza in atto, aver sperimentato chi Lui è.
Gesù proclama solennemente che è il momento della glorifi cazione, ma la sua gloria è quella di un chicco di grano che muore. Che trionfo è quello di un seme che marcisce? Generare la vita. Strana gloria: quella che procura vita agli altri, ma perde la propria. È sempre uno shock per la nostra mentalità rifl—ettere sul fatto che Dio non sceglie la via della vittoria, o la potenza ostentata, o l’ autoaffermazione. L’ immagine del chicco di grano è notevole. Deve prima subire un processo di decadenza, che prende il nome di marcescenza. Viene divorato da agenti esterni, che però permettono la sua maturazione. Il processo che sembrava distruggerlo gli consente invece di essere sé stesso: un seme, ossia qualcosa che fondamentalmente fa iniziare la vita.
La vita ha origine nel donarsi. Spesso, quando ci troviamo di fronte ai problemi, pensiamo che la soluzione consista nell’ avere sicurezza, proprietà, forza. Ma la vera soluzione è perdere sé stessi in Dio. Non serve una grande dotazione o una grande forza, ma si tratta di saper lasciare la presa di quel poco o tanto che siamo, o che crediamo di essere. 
NON SCADERE NELLA MEDIOCRITÀ.
 «Chi ama la propria vita, la perde e chi odia la propria vita in questo mondo, la conserverà per la vita eterna». Ma quante vite esistono? La vita di questo mondo, per quanto possiamo difenderla o curarla, comunque la perderemo. Poco ma sicuro. La domanda è: ne esiste veramente un’ altra? Se esiste solo questa, è ovvio finire per scadere nel farsi i fatti propri o nella mediocrità. Ma se la nostra vita è solo il preludio della vita autentica, allora è un altro paio di maniche.
Due fi danzati si sposano per regalarsi tutto quel che sono, e darsi la vita che hanno uno per l’ altra; è normale sperare di aver intavolato almeno qualche amicizia vera, autentica, in cui ci si voglia bene fi no alla morte. Per un figlio si dà la vita. C’ è qualcosa di più grosso della vita di questo mondo, e chiunque voglia amare, più o meno consapevolmente, punta a questo qualcosa. È la vita che va oltre il nulla. La vita di Cristo. Vale la pena di seguirlo, se uno vuole la sua gloria.

Il Vangelo della Domenica


5a Domenica di Quaresima

VOGLIAMO VEDERE GESU’? 

Che simpatici questi Greci! Erano degli stranieri saliti a Gerusalemme per la festa di Pasqua. La venuta del Maestro non era passata inosservata per nessuno: anche questi Greci, giunti nella città santa per la Pasqua, erano rimasti colpiti dalla sua grande popolarità e avevano detto a Filippo che volevano vedere Gesù. Filippo l'aveva poi detto ad Andrea ed entrambi erano andati a dirlo a Gesù.
Sappiamo comunicare? Bello questo intreccio comunicativo tra i Greci, Filippo, Andrea e Gesù. Vedete com'è importante la comunicazione? Da lì procede l'incontro e la conoscenza delle persone. Ma perché si rivolgono a Filippo e questi ad Andrea? Perché erano gli unici, tra i discepoli, ad avere un nome greco; gli altri avevano tutti nomi ebraici. Visto che Filippo era di Betsaida, probabilmente conosceva il greco, perché Betsaida era una delle dieci città della Decapoli, cioè quelle città della Palestina dove si parlava il greco e si seguivano usanze elleniste, essendo sotto l'influenza e la cultura greca. Ciò che mi colpisce di più è proprio questa richiesta "Vogliamo vedere Gesù!" Ecco il punto! Lo vogliamo veramente vedere noi, i greci di oggi, cioè quelli che non sono nati ebrei? Oppure vogliamo vedere di tutto e ci sentiamo attirati da tutto fuorché da Gesù? Non è una domanda scontata, sapete! Il punto cruciale della domanda non è la seconda parte, ma la prima. Gesù è sempre lì che aspetta, ma noi lo vogliamo veramente vedere? Vedere Gesù è un conto: VOLERLO vedere è un altro. Vedere, lo vedevano anche scribi e farisei, ma di lui non ne vollero sapere...
Da che parte guardiamo? Ma speriamo che tutti noi - almeno quanti leggiamo queste righe - abbiamo veramente questo desiderio di vedere Gesù. Ammesso questo dobbiamo però chiederci da che parte dobbiamo guardare per vederlo; e se vogliamo veramente guardare da quella parte. Perché la parte giusta è quella della Croce. "Quando sarò innalzato attirerò tutti a me". Alzi la mano chi vuole guardare per di là! Se guardiamo da tutt'altra parte, non lo vediamo. Credo dunque che la difficoltà stia proprio qui: vogliamo vedere Gesù, ma nessuno vuole guardare da quella parte. Perdere la propria vita, morire come un chicco di grano nelle profondità della terra per portare frutto, trovare la gioia nella rinuncia, ecco una logica che il mondo non conosce e l'uomo carnale non capisce! Per costui portare frutto significa avere successo, sfondare, brillare, conquistare, dominare ecc. Ma Gesù ci dà alcune dritte che sono diametralmente all'opposto! Questa è la sezione finale della sua vita pubblica: la sua esistenza sta volgendo al termine. Termine drammatico e molto temuto dal Signore: "Ora l'anima mia è turbata; e che devo dire? Padre salvami da quest'ora? Ma per questo sono giunto a quest'ora! Padre glorifica il tuo nome".
La voce del PADRE Venne allora una voce dal Cielo: "L'ho glorificato e di nuovo lo glorificherò". Vi rendete conto? UDIRONO LA VOCE DEL PADRE! Non vorreste anche voi udire la voce del Padre? I Giudei la sentirono, ma non capirono che era LUI, credevano fosse un tuono... Eppure Gesù precisò: "questa voce non è venuta per me, ma per voi". Per loro dunque! Ma anche per noi! Lui lo sapeva benissimo che la strada regale era quella della croce e del morire come un chicco di grano; siamo noi che non lo sappiamo, o non lo vogliamo sapere. E sì che Gesù, con le folle che gli correvano dietro avrebbe potuto conquistare il mondo seguendo la via facile, ma va da tutt'altra parte. E solo dopo aver preso quell'altra strada, si ode la voce dal cielo. "L'ho glorificato e ancora lo glorificherò". Dio in persona parla e ratifica la decisione di Gesù dicendo che ha preso la giusta direzione. Ora tocca a noi prendere la strada giusta. E dopo sentiremo anche noi la voce del Padre.


PAOLO CURTAZ,"UN SEME FIORITO"VOGLIAMO VEDERE GESÙ.

Commento al Vangelo del 18 marzo 2018 
Un seme fiorito
Vogliamo vedere Gesù.

È il desiderio che ci spinge in questa quaresima. Che ci spinge in questa nostra vita confusa e claudicante. Un desiderio che emerge dal profondo. Vogliamo vedere Gesù.


Non solo sentirne parlare, o leggere le sue parole. Ma vederlo. Con gli occhi dell’anima, con lo sguardo interiore, con la preghiera.

E a chiederlo sono i greci, i pagani, i lontani di ieri e di oggi.

Mi piacerebbe tanto, quanto lo desidero, quanto lo sogno, che anche oggi accadesse come quel giorno. Che chi desidera l’incontro con Gesù si rivolgesse ai discepoli. A quelli che sono in sintonia con loro, anzitutto: Filippo, il cui nome lascia intendere ascendenze col mondo greco e poi Andrea.

Come mi piacerebbe che fossimo noi, i discepoli, ad essere capaci di condurre ancora a Gesù.

Ma, purtroppo, spesso, troppo spesso, i greci non vengono da noi perché abbiamo perso di credibilità.

Possa questa quaresima aiutare noi fragili discepoli a tornare ad essere portatori di Cristo.

Ad accogliere i tanti lontani, perché sentinelle sui confini.

Perché noi per primi siamo greci diventati discepoli.

Il seme

Filippo e Andrea vanno ad informare Gesù di quell’incontro.

E Gesù ne esce scosso. Come se fosse un segnale. E lo è. Ora l’annuncio ha raggiunto i confini, ha varcato le porte di Israele. La missione è completata, si è compiuta.

Gesù sa che il suo tempo è venuto. Un’ultima prova, un ultimo segnale, imponente, estremo, grandioso, si staglia all’orizzonte.

Il vangelo di Giovanni è costruito come un immenso processo al Nazareno, sin dalle prime pagine. Il rifiuto da parte del Sinedrio e dei benpensanti, dei devoti e dei detentori della verità si palesa da subito. Gesù sa che il suo modo di parlare di Dio non può essere tollerato, visto che non è stato possibile ricondurlo a normalità.

Non sa cosa accadrà. Sa solo che è pronto ad andare fino in fondo.

A non cedere.

Morirà, piuttosto che rinnegare il volto del Padre.

Allora parla di fecondità. Di seme che deve morire per portare frutto.

La gloria, la presenza di Dio, la shekinah, si manifesterà in Gesù, quando donerà definitivamente la sua vita.

Il cuore dell’annuncio di Gesù non è la morte, ma il portare frutto.

Ci sono gesti che apparentemente sono un fallimento ma che, invece, sono gravidi di vita e di futuro. Come la croce che non è un grande dolore, ma un grande dono di sé.

Donare la vita

Gesù parla di odiare questa vita per conservarla per l’eternità.

Brutta traduzione. Gesù sta dicendo che esiste una vita più intensa nascosta in questa nostra vita. Una vita che è riflesso dell’Eterno. Una vita che si manifesta quando finalmente entriamo nella logica del dono, del servizio.

Servi della felicità altrui. Servi come Filippo e Andrea che portano i greci ad incontrare Gesù.

Non è facile donare la vita.

In perenne bilico fra un narcisismo innalzato a regola di vita e un servilismo strisciante vestito da umiltà, donare la vita è una lotta continua, un equilibrio difficile che solo alla luce dello Spirito Santo possiamo realizzare.

E che Gesù realizza come mai nessuno prima di lui.

Libero. Senza rancore. Senza rabbia. Senza pianti. Senza recriminazioni.

Libero di donare senza aspettarsi nulla in cambio.

Questo significa seguire il Nazareno, questo significa diventare discepoli.

Turbamento

Ma non è una scelta semplice, quella del dono.

Né eroica. Né devota.

È sangue e fango. È paura e tentennamento.

Gesù è turbato, e lo dice. E vorrebbe non arrivare fino a questo punto, fino al marcire in terra.

Tentenna, parla ad alta voce, vorrebbe essere salvato dalla tenebra che si staglia all’orizzonte.

Ma si fida di Dio. Si fida del Padre.

Sia Lui a decidere. Sia Lui. Se questo manifesta la gloria agli uomini sia.

Quella croce, quel dono, quel Dio osteso e osceno, quella brutale sconfitta esprime pienamente la logica del Padre. Che ama fino a morirne.



Mi rattrista questo Vangelo.

Perché vedo il dolore del Signore.

Mi consola questo Vangelo.

Perché vedo il dolore del Signore.

Che è il mio. Che è esattamente il mio.

Se Gesù ha avuto paura, cosa ho da temere? Perché mai dovrei nascondere le mie fragilità e fingere di essere ciò che non sono forte. Deciso a donare, sì. Ma pavido e vigliacco. Desideroso di essere discepoli, ovvio, ma spesso chiedo di essere salvato dalla terra umida e buia.



Ma da questa terra Gesù sarà innalzato.

E tutti volgeranno lo sguardo. Lo alzeranno.

Noi siamo i frutti di quel seme.

Fonte:http://www.tiraccontolaparola.it


Il Vangelo della V domenica di quaresima commentato da Paolo Curtaz.

mi sono letto anche questo!

FR. MASSIMO ROSSI, “ORA È IL GIUDIZIO DI QUESTO MONDO...”

Commento su Giovanni 12,20-33
fr. Massimo Rossi  
V Domenica di Quaresima (Anno B) (18/03/2018)
  Visualizza Gv 12,20-33

Era il 24 marzo del 1980, quando l'Arcivescovo di San Salvador, mons.Oscar Romero, oggi Beato, veniva ucciso mentre celebrava la Messa. Da questo tragico anniversario, prende spunto la Giornata di preghiera e digiuno per i missionari martiri, fissata il 24 marzo, sabato prossimo; per ricordarci che la stagione delle persecuzioni in odio alla fede cristiana non è finita.
Ma non solo in Oriente si rischia quotidianamente la vita per annunciare il Vangelo: un paio di anni fa, precisamente nell'estate del 2016, p.Jacques Hamel venne trucidato dagli integralisti islamici, in un villaggio della Normandia. Di questa notizia, neanche un cenno sulle pagine dei quotidiani... segno che, spesso, il coraggio di testimoniare il Vangelo, financo a morire, viene semplicemente - e colpevolmente! - ignorato. E tanto per informazione, dall'inizio del 2017, sono 11 i sacerdoti missionari uccisi dalla furia cieca del terrorismo, o dalla milizia armata delle varie polizie segrete. A questi nuovi martiri, se ne aggiungono altri: frati, suore, laici, soprattutto catechisti e operatori pastorali. Il cammino dell'ecumenismo riunisce cattolici, ortodossi e protestanti, anche davanti ai persecutori della fede, per i quali non fa differenza appartenere ad una confessione, anziché ad un'altra... quando il comune denominatore, o come dice la Bibbia, la testata d'angolo, è sempre e solo il Cristo.
Il Vangelo di oggi, otto giorni prima della Settimana Santa, ci propone il famoso detto del Signore: se il chicco di frumento, caduto in terra, non muore, rimane solo; se invece muore, porta molto frutto: alle parole di Gesù, fanno eco quelle altrettanto famose dei primi Padri della Chiesa: “Il sangue dei martiri è semente di cristiani!”.
L'innalzamento del Messia sulla croce è la condizione necessaria, per noi, affinché siamo attirati a Lui. Lo afferma Giovanni, richiamando un fatto accaduto molti secoli prima e raccontato nel libro dell'Esodo: il simbolo del serpente di rame issato da Mosè su un'asta, il quale guariva gli Israeliti che, morsi dai serpenti velenosi, lo avessero anche solo guardato.
Il grande mistero della fede che celebriamo ogni domenica e al quale rispondiamo “Annunciamo la tua morte, Signore....” è proprio questo: con la sua morte, Gesù vince la morte!
La natura umana non è in grado di evitare la morte: questo passo drammatico e doloroso è un passo obbligato. Ma c'è morte e morte! con tutto il rispetto per le tragedie che addolorano l'umanità e che attraversano la vita di ciascuno, la morte di Gesù fu un'altra cosa! perché Gesù è un'altra cosa!
Ma ecco la pagina tratta dalla lettera agli Ebrei, forse, il passo più suggestivo e misterioso e meraviglioso di tutto il documento. Con un'audacia che rasenta la temerarietà, lo scrittore ispirato - se ne ignora l'identità... -, dichiara che Gesù aveva bisogno di patire: i dolori della passione lo resero perfetto e, aggiunge san Paolo (cfr. Fil 2), meritevole del nome di ‘Cristo', quel nome che è al di sopra di ogni nome e che incute timore reverenziale solo al sentirlo pronunciare...
Il primo destinatario, il primo beneficiario della croce, fu lo stesso Crocifisso, il quale dovette, anche lui, imparare qualcosa che ha bensì a che vedere con la dignità di figlio, tuttavia non si possiede per nascita, ma si acquisisce per esperienza diretta e personale: l'obbedienza.
Dunque, un figlio, ogni figlio diventa capace di obbedire, obbedendo. Emerge l'aspetto della sofferenza, quale ingrediente imprescindibile dell'obbedienza; non è facile obbedire, mai.
Nel caso di Gesù, le difficoltà (ad obbedire al Padre suo) aumentarono all'inverosimile, per l'ostilità incontrata sul versante degli uomini. Tutto perché il ‘messia' incarnato dal figlio del falegname non rispondeva agli stereotipi (umani) di un messia. Eppure, a questi uomini che rifiutarono il Signore, così come si era presentato loro, che non mostrava la forza e la virilità dell'eroe epico, del superuomo, a questi uomini Gesù aveva promesso fedeltà, prima ancora di assumerne la natura. Prima che a loro, prima che a noi, Gesù aveva promesso a Dio! E proprio perché aveva promesso a Dio prima che a noi, il Signore sopportò dai nostri fratelli maggiori tutte le vessazioni fisiche, psicologiche e spirituali che ben conosciamo e che domenica prossima ripercorreremo ancora una volta, insieme, leggendo il lungo, struggente racconto della Passione.
L'affresco tracciato dal quarto evangelista definisce il destino di morte del Signore una ‘glorificazioné, e ribadisce che la promessa fatta dal Padre a suo Figlio, è per noi: “Questa voce non è venuta per me - dice il Signore - ma per voi”.
Infine, la sentenza: “Ora è il giudizio di questo mondo...”, vagamente sibillina: si può interpretare in due modi tra loro opposti: il mondo giudica... il mondo è giudicato... Il discorso si complica, se fosse possibile, ancor di più: “il principe di questo mondo sarà gettato fuori”: verosimilmente si tratta del diavolo, il quale sul calvario sembra invece avere la meglio...
L'iconografia tradizionale colloca spesso, ai piedi della croce, un teschio; si tratterebbe del teschio di Adamo, colui che tentato dal diavolo, cadde nella sua trappola; ebbene, quel venerdì santo, il primo uomo fu riscattato dall'Ecce Homo, nuovo Adamo, il quale morì, non per colpa, ma per amore. Detto così, sembra una battuta da soap opera di terz'ordine...

Ma, se appena ripensiamo alle parole pronunciate dal Signore durante la cena di addio: “Non c'è amore più grande, dare la vita per gli amici”, e consideriamo che sotto la croce c'era Giovanni, amico del cuore del Signore, la morte di Gesù appare in tutta la sua spietata verità, un atto di amore, anzi l'atto di amore per eccellenza.

Fonte:www.qumran2.net

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