Santa Maria,

Santa Maria,
...donna del primo sguardo, donaci la grazia dello stupore.

giovedì 14 marzo 2013

Chi è Papa Francesco I "Strappate i cuori, guarite il mondo"




                                            Chi è Papa Francesco I


Papa Francesco: Messaggio per la Quaresima

<br>
Papa Francesco
"Strappate i cuori, guarite il mondo"

Di Jorge Mario Bergoglio
in “Il Sole 24 Ore” di oggi,  14 marzo 2013
Questo è il testo dell'omelia che
il Cardinale Jorge Mario Bergoglio ha pronunciato a
Buenos Aires il 13
febbraio 2013
nella funzione del mercoledì
delle Ceneri. È il messaggio
quaresimale dell'Arcivescovo
ai
sacerdoti, ai consacrati e ai
laici dell'Arcidiocesi argentina.
* * *
Attraverso i mezzi di comunicazione, piano piano ci abituiamo a sentire e a vedere la cronaca nera
della società contemporanea, che si presenta quasi come una gioia malvagia, e ci abituiamo anche a
toccarla e sentirla nelle cose che ci circondano e nella nostra propria carne. Il dramma si sente nelle
strade, nei quartieri, nella nostra casa e, perché no, nel nostro cuore. Conviviamo con la violenza
che uccide, che distrugge le famiglie, ravviva le guerre e i conflitti in tanti Paesi del mondo.
C
onviviamo con l'invidia, l'odio, la calunnia, la mondanità nel nostro cuore. La sofferenza de
gli
innocenti e della gente mite non smette di schiaffeggiarci, il disprezzo per i diritti delle persone e
dei popoli più fragili non sono così lontani da noi; l'impero del danaro con gli effetti perversi
rappresentati dalla droga, dalla corruzione, dalla tratta delle persone -- compresi i bambini -
assieme alla miseria materiale e morale sono situazioni di ogni giorno.
La distruzione di un lavoro degno, le migrazioni dolorose e la mancanza di futuro sono parte di
questo insieme di difficoltà. I nostri errori e peccati come Chiesa non rimangono fuori da questo
grande panorama. Gli egoismi personali giustificati, e non per questo più piccoli, la mancanza di
valori etici nel seno della società che distrugge le famiglie, la convivenza tra le persone dei
quartieri, dei popoli e delle città ci parlano dei nostri limiti, della nostra debolezza e della nostra
incapacità per poter trasformare questo elenco immenso di realtà distruttrici.
La trappola dell'impotenza ci porta a pensare. Ha senso cercare di cambiare tutto questo? Possiamo
fare qualcosa di fronte a questa situazione? Vale la pena cercare di farlo quando il mondo continua
la sua carnevalata mascherando tutto per un po' di tempo? Quando cade la maschera compare la
verità e, anche se per molti può sembrare anacronistico, ricompare il peccato che ferisce la nostra
carne con tutta la sua forza di distruzione, cambiando i destini del mondo e della storia.
La Quaresima si presenta come grido di verità e di speranza, e ci risponde di sì, che è possibile non
dover truccarci e disegnare nei nostri volti sorrisi di plastica come se niente fosse. Sì, è possibile
che tutto sia nuovo e diverso perché Dio continua ad essere «ricco di bontà e misericordia, sempre
disposto a perdonare» e ci incoraggia a ricominciare una e più volte. Oggi, ancora una volta, siamo
invitati a intraprendere un cammino pasquale verso la Vita, cammino che comprende la croce e la
rinuncia, che sarà scomodo ma non sterile. Siamo invitati a riconoscere che c'è qualcosa che non va
bene in noi stessi, nella società o nella Chiesa, siamo invitati a cambiare, a dare una sterzata nelle
nostre vite, a convertirci.
Oggi sono piene di sfida le parole del profeta Gioele: strappate il vostro cuore, non le vostri vesti e
convertitevi al Signore vostro Dio. Queste parole sono un invito a tutti, nessuno escluso.
Strappate il cuore e non le vesti di una penitenza artificiale senza garanzie di futuro.
Strappate i cuori per dire con il salmo «Abbiamo peccato». «La ferita dell'anima è il peccato. Oh,
povero ferito, riconosci il tuo dottore! Mostra le piaghe delle tue colpe. E visto che a Lui non si
possono nascondere i nostri pensieri più intimi, fai sentire il gemito del tuo cuore. Cerca la Sua
compassione con le tue lacrime, con la tua insistenza, importunalo! Che ascolti i tuoi sospiri, che il
tuo dolore arrivi fino a Lui, in modo che, alla fine, possa dirti: Il Signore ha perdonato il tuo
peccato» (San Gregorio Magno). Questa è la realtà della nostra condizione umana. Questa è la
verità che può avvicinarci alla nostra autentica riconciliazione con Dio e con gli uomini. Non si
tratta di screditare l'autostima ma di penetrare nel più profondo dei nostri cuori e farci carico del
mistero della sofferenza e del dolore che ci lega da secoli, da migliaia di anni, da sempre.
Strappate i cuori affinché da quella fessura possiamo guardarci veramente.
Strappate i cuori, aprite i cuori, perché solo in un cuore strappato e aperto può entrare l'amore del
Padre.
Strappate i cuori, dice il profeta, e Paolo ci chiede «Lasciatevi riconciliare con Dio». Cambiare il
modo di vivere è segno e frutto del cuore strappato e riconciliato da un amore che va oltre noi stessi.
Questo è l'invito, di fronte alle tante ferite che ci danneggiano e che ci possono portare alla
tentazione di indurirci.
Strappate il cuore per sentire l'eco delle tante vite lacerate e che l'indifferenza non ci renda
insensibili.
Strappate il cuore per poter amare con l'amore con il quale siamo amati, consolare con la
consolazione con la quale siamo consolati e condividere ciò
che abbiamo ricevuto.
Questo tempo liturgico non è solo per noi, ma anche per la trasformazione della nostra famiglia,
della nostra comunità, della nostra Chiesa, della nostra Patria, del mondo intero. Sono quaranta
giorni per convertirci alla santità medesima di Dio; per convertirci in collaboratori che ricevono la
grazia e la possibilità di ricostruire la vita umana, affinché l'uomo possa sperimentare la salvezza
che Cristo ci offrì con morte e resurrezione.
Con preghiere e penitenza, ci disponiamo a iniziare come in passato il Gesto quaresimale di
solidarietà. Come Chiesa di Buenos Aires serve che dai nostri cuori germogli la grazia e il gesto che
dia sollievo al dolore di tanti fratelli che camminano con noi. «Nessun atto di virtù può essere
grande se da questo non scaturisce un beneficio per il prossimo. Anche se passi la tua giornata a
digiunare, anche se dormi sul duro pavimento e mangi cenere, e sospiri in continuazione, se non fai
del bene agli altri, non fai niente di grande (San Giovanni Crisostomo).
Questo anno di fede è l'opportunità che Dio ci regala per maturare nell'incontro con il Signore, che
si rende visibile nel viso sofferente di tanti bambini senza futuro, nelle mani tremanti degli anziani
dimenticati e nelle ginocchia vacillanti delle tante famiglie che continuano a far fronte alla vita
senza trovare sostegno in nessuno.
Vi auguro una Santa Quaresima, penitenziale e feconda, e, per favore, vi chiedo di pregare per me.
Che Gesù vi benedica e la Madonna vi protegga.
(Traduzione di Granello Filipuzzi)



Papa Francesco: Lettera per l'Anno della Fede

  


La lettera del cardinale Bergoglio (Papa Francesco) per l'Anno della fede

(testo originale con ampia traduzione italiana)


Queridos hermanos:
Entre las experiencias más fuertes de las últimas décadas está la de encontrar puertas cerradas. La creciente inseguridad fue llevando, poco a poco, a trabar puertas, poner medios de vigilancia, cámaras de seguridad, desconfiar del extraño que llama a nuestra puerta. Sin embargo, todavía en algunos pueblos hay puertas que están abiertas. La puerta cerrada es todo un símbolo de este hoy. Es algo más que un simple dato sociológico; es una  realidad existencial que va marcando un estilo de vida, un modo de pararse frente a la realidad, frente a los otros, frente al futuro. La puerta cerrada de mi casa, que es el lugar de mi intimidad, de mis sueños, mis esperanzas y sufrimientos así como de mis alegrías, está cerrada para los otros. Y no se trata sólo de mi casa material, es también el recinto de mi vida, mi corazón.  Son cada vez menos los que pueden atravesar ese umbral. La seguridad de unas puertas blindadas custodia la inseguridad de una vida que se hace más frágil y menos permeable a las riquezas de la vida y del amor de los demás.
La imagen de una puerta abierta ha sido siempre el símbolo de luz, amistad, alegría, libertad, confianza. ¡Cuánto necesitamos recuperarlas! La puerta cerrada nos daña, nos anquilosa, nos separa.
Iniciamos el Año de la fe y paradójicamente la imagen que propone el Papa es la de la puerta, una puerta que hay que cruzar para poder encontrar lo que tanto nos falta. La Iglesia, a través de la voz y el corazón de Pastor de Benedicto XVI, nos invita a cruzar el umbral, a dar un paso de decisión interna y libre: animarnos a entrar a una nueva vida.
La puerta de la fe nos remite a los Hechos de los Apóstoles: “Al llegar, reunieron a la Iglesia, les contaron lo que Dios había hecho por medio de ellos y cómo había abierto a los gentiles la puerta de la fe” (Hechos 14,27).  Dios siempre toma la iniciativa y no quiere que nadie quede excluido. Dios  llama a la puerta de nuestros corazones: Mira, estoy a la puerta y llamo, si alguno escucha mi voz y abre la puerta entraré en su casa y cenaré con él, y él conmigo (Ap. 3, 20). La fe es una gracia, un regalo de Dios. “La fe sólo crece y se fortalece creyendo; en un abandono continuo  en las manos de un amor que se experimenta siempre como más grande porque tiene su origen en Dios”
Atravesar esa puerta supone emprender un camino que dura toda la vida mientras avanzamos delante de tantas puertas que hoy en día se nos abren, muchas de ellas puertas falsas, puertas que invitan de manera muy atractiva pero mentirosa a tomar camino, que prometen una felicidad vacía, narcisista y con fecha de vencimiento; puertas que nos llevan a encrucijadas en las que, cualquiera sea la opción que sigamos, provocarán a corto o largo plazo angustia y desconcierto, puertas autorreferenciales que se agotan en sí mismas y sin garantía de futuro. Mientras las puertas de las casas están cerradas, las puertas de los shoppings están siempre abiertas. Se atraviesa la puerta de la fe, se cruza ese umbral, cuando la Palabra de Dios es anunciada y el corazón se deja plasmar por la gracia que transforma. Una gracia que lleva un nombre concreto, y ese nombre es Jesús. Jesús es la puerta.  (Juan 10:9)  “Él, y Él solo, es, y siempre será, la puerta. Nadie va al Padre sino por Él. (Jn. 14.6)” Si no hay Cristo, no hay camino a Dios. Como puerta nos abre el camino a Dios y como Buen Pastor  es el Único que cuida de nosotros al costo de su propia vida.
Jesús es la puerta y llama a nuestra puerta para que lo dejemos atravesar el umbral de nuestra vida. No tengan miedo… abran de par en par las puertas a Cristo nos decía el Beato Juan Pablo II al inicio de su pontificado. Abrir las puertas del corazón como lo hicieron los discípulos de Emaús, pidiéndole que se quede con nosotros para que podamos traspasar las puertas de la fe y el mismo Señor nos lleve a comprender las razones por las que se cree, para después salir a anunciarloLa fe supone decidirse a estar con el Señor para vivir con él y compartirlo con los hermanos.
Damos gracias a Dios por esta oportunidad de valorar nuestra vida de hijos de Dios, por  este  camino de fe que empezó en nuestra vida con las aguas del bautismo, el inagotable y fecundo rocío que nos hace hijos de Dios y miembros hermanos en la Iglesia. La meta, el destino o fin es el encuentro con Dios con quien ya hemos entrado en comunión y que quiere restaurarnos, purificarnos, elevarnos, santificarnos, y darnos la felicidad que anhela nuestro corazón.
Queremos dar gracias a Dios porque sembró en el corazón de nuestra Iglesia Arquidiocesana el deseo de contagiar y dar a manos abiertas este don del Bautismo. Este es el fruto de un largo camino iniciado con la pregunta ¿Cómo ser Iglesia en Buenos Aires? transitado por el camino del Estado de Asamblea para enraizarse en el Estado de Misión como opción pastoral permanente.
Iniciar este año de la fe es una nueva  llamada a ahondar en nuestra vida esa fe recibida. Profesar la fe con la boca implica vivirla en el corazón y mostrarla con las obras: un testimonio y un compromiso público. El discípulo de Cristo, hijo de la Iglesia, no puede pensar nunca que creer es un hecho privado. Desafío importante y fuerte para cada día, persuadidos de que el que comenzó en ustedes la buena obra la perfeccionará hasta el día, de  Jesucristo. (Fil.1:6) Mirando nuestra realidad, como discípulos misioneros, nos preguntamos: ¿a qué nos desafía cruzar el umbral de la fe?
Cruzar el umbral de la fe nos desafía a descubrir que si bien hoy parece que reina la muerte en sus variadas formas y que la historia se rige por la ley del más fuerte o astuto y si el odio y la ambición funcionan como motores de tantas luchas humanas, también estamos absolutamente convencidos de que esa triste realidad puede cambiar y debe cambiar, decididamente porque “si Dios está con nosotros ¿quién podrá contra nosotros? (Rom. 8:31,37)
Cruzar el umbral de la fe supone  no sentir vergüenza de tener un corazón de niño que, porque todavía cree en los imposibles, puede vivir en la esperanza: lo único capaz de dar sentido y transformar la historia. Es pedir sin cesar, orar sin desfallecer y adorar para que se nos transfigure la mirada.
Cruzar el umbral de la fe nos lleva a implorar para cada uno “los mismos sentimientos de Cristo Jesús” (Flp. 2, 5) experimentando así una manera nueva de pensar, de comunicarnos, de mirarnos, de respetarnos, de estar en familia, de plantearnos el futuro, de vivir el amor, y la vocación.
Cruzar el umbral de la fe es actuar, confiar en la fuerza del Espíritu Santo presente en la Iglesia y que también se manifiesta en los signos de los tiempos, es acompañar el constante movimiento de la vida y de la historia sin caer en el derrotismo paralizante de que todo tiempo pasado fue mejor; es urgencia por pensar de nuevo, aportar de nuevo, crear de nuevo, amasando la vida con “la nueva levadura de la  justicia y la santidad”. (1 Cor 5:8)
Cruzar el umbral de la fe implica tener ojos de asombro y un corazón no perezosamente acostumbrado, capaz de reconocer que cada vez que una mujer da a luz se sigue apostando a la vida y al futuro, que cuando cuidamos la inocencia de los chicos garantizamos la verdad de un mañana y cuando mimamos la vida entregada de un anciano hacemos un acto de justicia y acariciamos nuestras raíces.
Cruzar el umbral de la fe es el trabajo vivido con dignidad y vocación de servicio, con la abnegación del que vuelve una y otra vez a empezar sin aflojarle a la vida, como si todo lo ya hecho fuera sólo un paso en el camino hacia el reino,  plenitud de vida. Es la silenciosa espera después de la siembra cotidiana, contemplar el fruto recogido dando gracias al Señor porque es bueno y pidiendo que no abandone la obra de sus manos. (Sal 137)
Cruzar el umbral de la fe exige  luchar por la libertad y la convivencia aunque el entorno claudique, en la certeza de que el Señor nos pide practicar el derecho, amar la bondad, y caminar humildemente con nuestro Dios. ( Miqueas 6:8)
Cruzar el umbral de la fe entraña la permanente conversión de nuestras actitudes, los modos y los tonos con los que vivimos; reformular y no emparchar o barnizar, dar la nueva forma que imprime Jesucristo a aquello que es tocado por su mano y su evangelio de vida, animarnos a hacer algo inédito por la sociedad y por la Iglesia; porque “El que está en Cristo es una nueva criatura”. (2 Cor 5,17-21)
Cruzar el umbral de la fe nos lleva a  perdonar y saber arrancar una sonrisa, es acercarse a todo aquel que vive en la periferia existencial y llamarlo por su nombre, es cuidar las fragilidades de los más débiles y sostener sus rodillas vacilantes con la certeza de que lo que hacemos por el más pequeño de nuestros hermanos al mismo Jesús lo estamos haciendo. (Mt. 25, 40)
Cruzar el umbral de la fe supone celebrar la vida, dejarnos transformar porque nos hemos hecho uno con Jesús en la mesa de la eucaristía celebrada en comunidad, y de allí estar con  las manos y el corazón ocupados trabajando en el gran proyecto del Reino: todo lo demás nos será dado por añadidura. (Mt. 6.33)
Cruzar el umbral de la fe es vivir en el espíritu del Concilio y de Aparecida, Iglesia de puertas abiertas no sólo para recibir sino fundamentalmente para salir y llenar de evangelio la calle y la vida de los hombres de nuestros tiempo.
Cruzar el umbral de la fe para nuestra Iglesia Arquidiocesana, supone  sentirnos confirmados en la Misión de ser una Iglesia que vive, reza y trabaja en clave misionera.
Cruzar el umbral de la fe es, en definitiva, aceptar la novedad de la vida del Resucitado en nuestra pobre carne para hacerla signo de la vida nueva.
 Meditando todas estas cosas miremos a María, Que Ella, la Virgen Madre, nos acompañe en este cruzar el umbral de la fe y traiga sobre nuestra Iglesia en Buenos Aires el Espíritu Santo, como en Nazaret, para que igual que ella adoremos al Señor y salgamos a anunciar las maravillas que ha hecho en nosotros.
1 de Octubre de 2012
Fiesta de Santa Teresita del Niño Jesús
Card. Jorge Mario Bergoglio s.j.
 * * *
Traduzione italiana
Iniziare questo anno della fede diventa una nuova chiamata ad approfondire nella nostra vita questa fede dataci in dono. Professare la fede con la bocca significa viverla nel nostro cuore e farla conoscere nelle opere; una testimonianza e un impegno pubblico. Il discepolo di Cristo, figlio della Chiesa, non può mai pensare che credere è un fatto privato. Tutt’altro, è una sfida importante e forte per ogni giorno, persuasi dal fatto che  Colui che ha incominciato in voi la buona opera la perfezionerà fino al giorno di Gesù Cristo (Fil 1,6). Guardando questa realtà, come discepoli missionari, ci domandiamo: quali sono le sfide da affrontare che ci propone il varcare la soglia della fede?



·         Varcare la soglia della fede ci sfida a scoprire che, -anche se oggi sembra che regni la morte nelle sue variate forme e che la storia si regge per la legge del più forte o del più furbo, e se l’odio e l’ambizione sono i motori di tante lotte umane-, siamo  convinti che questa triste realtà può mutarsi e deve mutare assolutamente perché se “Dio è con noi, chi potrà essere contro di noi? (Rom. 8:31-37).

·         Varcare la soglia della fede presuppone il non vergognarsi di avere un cuore di fanciullo che crede nell’impossibile, che può vivere nella speranza che è l’unica cosa che può dare senso e trasformare la storia. E’ altresì, chiedere in continuità, pregare senza stancarsi e adorare perché il nostro sguardo sia trasfigurato.

·         Varcare la soglia della fede ci porterà a supplicare perché ciascuno di noi abbia “gli stessi sentimenti di Cristo Gesù” (Fp. 2,5) sperimentando in questa maniera un nuovo modo di pensare, di comunicare, di guardare, di aver rispetto, di vivere in famiglia, di chiederci sul futuro, di vivere l’amore e la propria vocazione.
·         Varcare la soglia della fede è agire, fidarsi nella forza dello Spirito Santo presente nella Chiesa che si manifesta pure nei segni dei tempi, è accompagnare l’uomo nel costante sviluppo della vita e della storia senza cadere nelle sconfitte paralizzanti che stanno a segnalare che ogni tempo passato è meglio dell’attuale, quindi è urgente pensare di nuovo, apportare il nuovo, creare di nuovo, impastando la vita con il “nuovo lievito della giustizia e della santità” (1Cor 5, 8).
·         Varcare la soglia della fede significa avere occhi che si stupiscono e un cuore non abituato a reagire in modo pigro, ma che sa riconoscere,  ogni volta che una donna partorisce, una scommessa per la vita e per il futuro. Che quando curiamo l’innocenza dei bambini, si garantisce la verità del domani e quando accarezziamo la vita consumata di un anziano facciamo un atto di giustizia e accarezziamo le nostre radici.
·         Varcare la soglia della fede è il lavoro vissuto con dignità è la vocazione di servizio celebrata con l’abnegazione di chi ricomincia ancora una volta senza lasciar cadere le braccia, considerando che  tutto ciò che si è fatto, è ancora solo un passo sulla strada verso il regno, verso la pienezza di vita. E’ l’attesa silenziosa dopo la semina quotidiana, è il contemplare il frutto raccolto rendendo grazie al Signore perché è buono  e chiedendogli di non abbandonare mai l’opera delle sue mani (Sal 137).
·         Varcare la soglia della fede esige saper lottare per la libertà e la coesistenza anche se tutto crolla, nella consapevolezza che il Signore chiede di vivere il diritto, amare la bontà e camminare umilmente con il nostro Dio (Mi 6, 8).
·         Varcare la soglia della fede  ci porta alla continua conversione dei nostri atteggiamenti, dei nostri modi e tenori di vita, ci porta anche a riformulare e non a rattoppare o verniciare, ma a dare la nuova impronta che dà Gesù Cristo a chi è toccato dalla sua mano e dal suo Vangelo di vita, è anche rischiare nel fare qualcosa di inedito per la società e per la Chiesa; perché “chiunque è in Cristo è una nuova creatura” (2Cor 5, 17-21)-
·         Varcare la soglia della fede ci porta a perdonare e a saper strappare un sorriso, ad avvicinarsi a chiunque abita nella periferia esistenziale e chiamarlo per nome, è farsi carico delle fragilità dei più deboli, è sostenere le loro ginocchia vacillanti sicuri che tutto ciò che facciamo per il più piccolo dei nostri fratelli lo facciamo a Gesù (Mt 25,40)
·         Varcare la soglia della fede presuppone celebrare la vita, lasciarsi trasformare perché noi siamo divenuti uno con Gesù nella mensa eucaristica celebrata nelle comunità, e da questa fonte essere con le mani e con il cuore occupati nel lavoro del grande progetto del Regno: e tutto il resto vi sarà dato in più. (Mt. 6,33)
·         Varcare la soglia della fede è vivere nello spirito del Concilio, dell’incontro di Aparecida, Chiesa dalle porte aperte non solo per accogliere ma fondamentalmente per uscire e portare il Vangelo sulle strade e nella vita degli uomini del nostro tempo.
·         Varcare la soglia della fede per la nostra Chiesa arcidiocesana presuppone sentirci confermati nella missione di essere una chiesa che vive, prega e lavora in chiave missionaria.
·         Varcare la soglia della fede è in definitiva, accettare la novità della vita del Risorto nella nostra povera carne per farla diventare segno della nuova vita.
Riflettendo su tutte queste cose guardiamo a Maria. Ci accompagni la Vergine Madre! Ci accompagni per varcare la soglia della fede e porti nella chiesa lo Spirito Santo affinché, come lei fece a Nazareth, possiamo adorare il Signore e uscire poi sulle strade del mondo ad annunciare le meraviglie che il Signore ha fatto in noi.

* * *


E Dolan racconta l’elezione “Ecco perché l’abbiamo voluto”
Paolo Griseri
in “la Repubblica” del 14 marzo 2013
«La Chiesa è in buone mani». Non sono trascorse due ore dall’annuncio del nome del nuovo Papa e,
con una scelta decisamente irrituale, Timothy Dolan, primate dei vescovi Usa, mette il timbro
sull’elezione. Lo fa con una conferenza stampa in cui rivela quasi in tempo reale alcuni particolari
del Conclave: «Quando Bergoglio è arrivato al 77esimo voto è scattato un applauso. Siamo stati
molto felici del risultato. Sono emozioni molto grandi». Parole che vanno oltre i riconoscimenti di
rito. Perché contemporaneamente, in una nota ufficiale, lo stesso Dolan aggiunge che l’elezione di
papa Francesco «rappresenta una pietra miliare per la nostra chiesa».
Una svolta caratterizzata, secondo il primate statunitense, dal fatto che «il Papa ha detto di aver
scelto il suo nome in onore di Francesco di Assisi», e che «sappiamo tutti che il Santo di Assisi si è
occupato dei poveri e degli umili. Sarà questo il suo lavoro». Se poi le allusioni ai recenti scandali
della Curia non fossero sufficienti, è lo stesso Dolan a sottolineare che «Papa Francesco rappresenta
una figura di unità per tutti i cattolici, ovunque essi si trovino». Dunque dentro ma soprattutto fuori
la cerchia delle mura leonine. Per queste ragioni, aggiunge Dolan «i vescovi degli Stati Uniti e i
fedeli delle nostre 195 diocesi pregano per il nostro nuovo leader e gli promettono lealtà».
La mossa dell’arcivescovo di New York coglie di sorpresa perché rompe con la tradizione e anticipa
i tempi tradizionali del Vaticano. Questa mattina alle 13 è in programma il
briefing
con il direttore
della Sala Stampa Vaticana, padre Federico Lombardi. Ma Dolan ha anticipato ieri sera alcune
indiscrezioni che ora attendono solo il crisma dell’ufficialità.
Come l’annuncio che «domani (oggi ndr) il nuovo Papa andrà a incontrare il papa emerito
Benedetto XVI. O il fatto che «venerdì mattina alle 11 incontrerà i cardinali». Con la mossa di ieri
sera i porporati statunitensi hanno anche voluto prendersi un piccola rivincita rispetto a quel che era
accaduto nei giorni immediatamente precedenti l’apertura del Conclave. Era accaduto che la scelta
dei prelati statunitensi di tenere propri
briefing
paralleli a quelli della Sala Stampa vaticana aveva
finito per irritare. Tanto che negli ultimi giorni delle Congregazioni quegli incontri con la stampa
dei vescovi Usa erano stati sospesi. Così ieri sera Dolan ha voluto approfittare del buco
comunicativo vaticano, dovuto al fatto che l’elezione si è svolta in serata.
Una sorta di concorrenza che non è solo sull’informazione ma, pare, sulla sostanza. Perché il
segnale lascia intendere che almeno Dolan e i porporati del suo Paese ritengano più utile parlare
direttamente ai giornalisti piuttosto che passare attraverso la mediazione vaticana. Un modo per
marcare una distanza e una diversità. Un piccolo sintomo del clima generale in cui è maturata
l’elezione di Bergoglio, quel vento anti curiale che sembrerebbe aver spirato impetuoso nella
cappella Sistina. Andranno lette anche in questo senso le parole di Dolan sul suo stato d’animo:
«Dormirò bene stanotte e anche papa Francesco dormirà bene. La chiesa è in buone mani, lo
sappiamo tutti». Timothy Dolan avrebbe dormito altrettanto sereno se al Soglio di Pietro fosse stato
chiamato qualcun altro? Certo l’arcivescovo di New York ieri sera appariva decisamente
soddisfatto. Tanto da rivelare via Twitter una battuta scherzosa fatta dal nuovo Papa ai cardinali
poco dopo essere stato eletto nella Sistina: «Cari fratelli, che Dio vi perdoni».



* * *


“Riforme? Lasciamole al nuovo Papa e ora la Curia si metta al suo servizio”
intervista a Camillo Ruini, a cura di Paolo Rodari
in “la Repubblica” del 14 marzo 2013
Le luci su San Pietro si sono spente da poco. Francesco I ha fatto ritorno in Santa Marta. Poco oltre
le mura leonine, nel seminario minore romano in cima al colle vaticano, Camillo Ruini, 82 anni,
presidente emerito dei vescovi italiani, è commosso per un’elezione «inaspettata».
Eminenza, come ha saputo dell’elezione del nuovo Papa?
«Avevo terminato da pochi minuti la messa in San Giovanni in Laterano per il nuovo Papa da
eleggere ed ero appena entrato nella mia auto. Ho detto subito all’autista di cercare di arrivare in
Vaticano. Ci siamo riusciti e ho avuto la fortuna di poter entrare nella Cappella Sistina quando il
nuovo Papa stava ricevendo l’obbedienza e il saluto di ciascun cardinale. Così ho potuto baciargli
anch’io la mano; il Papa mi ha abbracciato e mi ha chiesto come avessi fatto ad arrivare così presto.
Ho saputo soltanto dopo essere arrivato in Sistina che il nuovo Papa era il cardinale Bergoglio e che
aveva preso il nome di Francesco I».
Cosa pensa del nome?
«Mi sembra che sia una scelta coraggiosa e piena di significato: San Francesco è forse il santo che
più di tutti si avvicina a Gesù, il santo della gioia, della povertà, di un amore totalmente sincero alla
Chiesa. Il santo particolarmente caro a noi italiani, che insieme a San Domenico ha saputo dar vita
alla più grande riforma riuscita nella Chiesa, senza rompere l’unità della Chiesa stessa».
C’è bisogno di una riforma?
«La Chiesa ha sempre bisogno di riforma e di rinnovamento per esser come Gesù Cristo la vuole, la
sposa che riflette la luce del suo sposo. Oggi questo bisogno sembra essere particolarmente grande,
ma lasciamo al nuovo Papa di fare le scelte che lo Spirito Santo suggerirà alla sua intelligenza e al
suo cuore».
Si aspettava questa elezione?
«Non posso dire che me l’aspettavo, anche se, come tutti sanno, già nel Conclave precedente la
figura del cardinale Bergoglio era emersa. Diciamo che per questo Conclave lo ritenevo una scelta
concretamente possibile. E ora sono profondamente felice che sia stata compiuta».
Francesco I si è affacciato alla loggia centrale della Basilica vaticana e ha chiesto di pregare.
Cosa pensa di questo primo gesto?
«È perfettamente in linea con quello che si sa della spiritualità e del comportamento quotidiano del
cardinale Bergoglio».
La Chiesa è arrivata a questo Conclave accompagnata da molte voci di contrasti interni, per
non dire di scandali: c’è bisogno di un ritorno alle origini?
«Credo che il ritorno alle origini, nel senso di avvicinarsi per quanto possibile a quella piena fiducia
in Dio, a quel distacco dai beni terreni, e soprattutto a quello slancio missionario che la Chiesa ha
avuto alle sue origini, sia un’aspirazione irrinunciabile per ogni Papa e per ogni vescovo che voglia
guidare i credenti sulla via del Vangelo. Quanto ai contrasti e agli scandali, non possiamo negare
che ci siano molte cose bisognose di correzione. Naturalmente le voci, in particolare quelle degli
organi d’informazione, gonfiano e talvolta inventano, ma non tutto può essere ricondotto a semplici
voci».
Esiste un problema riguardo al governo centrale della Chiesa?
«C’è un problema strutturale, affrontato già dal Concilio Vaticano II, ma che non ha ancora trovato
una soluzione soddisfacente e stabile: quello del rapporto tra il primato del Papa e il collegio dei
vescovi. Ho molta fiducia che Francesco I saprà fare un significativo passo in avanti in questa
direzione. C’è poi il problema del rapporto della Curia con il Papa, e anche con i vescovi di tutto il
mondo. Una cosa è chiara: la Curia non può essere che uno strumento al servizio del Papa, non un
organismo in qualche modo autonomo e meno che meno un condizionamento per l’esercizio del
ministero del successore di Pietro e per i suoi rapporti con l’episcopato».
Cosa ha pensato quando ha saputo della rinuncia di Benedetto XVI?
«Sono rimasto profondamente sorpreso e anche addolorato, ma poi ho pensato, come ho anche
scritto, che un cardinale, e ogni sincero cattolico, le decisioni del Papa le accoglie, anche quando
provocano dolore».
Quali sono le urgenze principali della Chiesa oggi?
«Non credo che sia questo il momento nel quale io debba fare una specie di programma per il nuovo
Papa: lasciamolo fare a lui e allo Spirito Santo che lo guida».


Enzo Bianchi su elezione Papa Francesco I





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